Il presente saggio analizza le possibili applicazione della nozione di causa concreta con riferimento alla procedura di concordato preventivo, Dopo una analisi delle varie possibili accezioni del concetto di causa del contratto, l’autore esamina il rapporto tra causa concreta e controllo di meritevolezza degli interessi estrinsecati nel contratto, per poi verificare l‘applicabilità di tale nozione alla procedura di concordato preventivo, con particolare riferimento al problema del controllo di fattibilità, ed al ruolo dei creditori.
This essay analyzes the possible application of the notion of consideration with reference to the procedure of arrangement with creditors. After an analysis of the various possible meanings of the concept of consideration (“causa”) of the contract in the Italian contract law, the author examines the relationship between consideration and control of merit of the interests expressed in the contract, to then verify the applicability of this notion to the arrangement with creditors procedure, with particular reference to the problem of feasibility check, and to the role of creditors..
Keywords: Consideration of the contract – merit – arrangement with creditors - feasibility.
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1. Il problema della causa nei negozi giuridici - 2. Causa concreta e controllo di meritevolezza - 3. Causa concreta e soluzioni negoziali della crisi d’impresa - 4. La questione della fattibilità del concordato preventivo - 5. Il controllo del Tribunale ed il ruolo dei creditori - NOTE
Secondo una prima accezione, il concetto di “causa” sta ad indicare la giustificazione del vincolo obbligatorio individuale e soprattutto dello spostamento patrimoniale negli atti traslativi. In questo senso, il termine in questione si riferisce alla causa “dell’attribuzione patrimoniale”, ovvero “della prestazione”, derivazione storica del concetto di “causa dell’obbligazione”, resa necessaria dall’introduzione del principio consensualistico, che ha reso superfluo il veicolo dell’obbligazione per l’esecuzione della prestazione dell’alienante [1]. La causa dell’attribuzione patrimoniale, dunque, viene considerata lo strumento a tutela degli interessi individuali dei contraenti (ed in particolare del singolo disponente), per garantire che ogni spostamento patrimoniale abbia una propria giustificazione, causale appunto. Si tratta del più alto livello cui giunge la protezione offerta dall’ordinamento ai contraenti rispetto a comportamenti pregiudizievoli di essi medesimi, posto che non paiono fondati sul dato normativo, e dunque condivisibili, quei tentativi, anche recenti, di affidare al giudice il controllo della congruità economica dello scambio contrattuale [2]. In una diversa accezione, invece, la nozione di causa indica uno degli elementi essenziali del contratto, e, più in generale, del negozio giuridico [3] (art. 1325, n. 2, c.c.). Sotto questo profilo, in particolare, il concetto di causa è riferito tradizionalmente alla funzione economico-sociale del negozio. In effetti, l’evoluzione del concetto di causa ha portato a non considerare tale elemento riferito alle singole obbligazioni, ma all’intera operazione negoziale ed agli interessi ad essa sottesi. Si è quindi affermata, nella nostra dottrina, una teoria soggettiva della causa, che fa riferimento essenzialmente allo scopo perseguito dalle parti di un contratto. Anche tale nozione soggettiva, tuttavia, ha avuto una sua lunga evoluzione. In una prima fase, infatti, la nozione di causa è stata identificata, per lungo tempo, con la già richiamata funzione economico-sociale del negozio. Tale nozione tendeva, cioè, ad identificare la causa come la funzione astratta e tipica di un negozio, prescindendo dalle finalità delle parti e soprattutto dagli interessi concretamente perseguiti [4]. Secondo tale [continua ..]
L’approccio metodologico della nozione di causa concreta, che fa riferimento agli interessi effettivi che le parti mirano a soddisfare con il contratto, rende necessaria la considerazione del profilo della meritevolezza degli stessi interessi, secondo lo schema di cui all’art. 1322, comma 2, c.c. Cadute ormai in desuetudine tutte quelle concezioni volte a vedere nell’autonomia negoziale un vero e proprio arbitrio della volontà [18], questa ha assunto, in realtà, in maniera più concreta, il ruolo di strumento funzionale alla realizzazione dei valori e dei principi della nostra Costituzione [19]. Tale tendenza, peraltro, si collega alla convinzione per cui le stesse disposizioni costituzionali, lungi dall’avere una mera portata programmatica e di indirizzo per il legislatore o di limite alla discrezionalità dello stesso, sono qualificabili come vere e proprie fonti precettive che, in quanto tali, risultano immediatamente efficaci e vincolanti anche nei rapporti tra privati [20]. Della necessità di limitare l’autonomia negoziale si è reso conto, anche su indicazione della normativa comunitaria, lo stesso legislatore ordinario, il quale ricorre spesso a discipline di settore che vincolano l’autonomia negoziale, piegandola alle esigenze di tutela della parte debole [21]. Ma, al di là del controllo sulle regole formali e sul rispetto degli obblighi informativi previsti in alcun settori contrattuali (primo fra tutti, quello dell’intermediazione finanziaria), la tendenza giurisprudenziale più recente appare orientata nell’operare una verifica più penetrante, diretta a sindacare la meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti (secondo il classico schema dei contratti atipici previsto dall’art. 1322 c.c.), e, attraverso di essi, lo schema causale del contratto. Tale controllo sta diventando, sempre di più, lo strumento attraverso cui sindacare un dato regolamento negoziale in funzione della sua aderenza e conformità all’ordinamento [22]. L’adozione della nozione di causa concreta impone inevitabilmente un consistente ampliamento dei poteri di sindacato del giudice sul contenuto del contratto, che naturalmente si spingerà fino alla verifica della meritevolezza degli interessi in gioco [23]. Il problema si sposta, allora, sui criteri di valutazione di tale [continua ..]
La nozione di causa concreta, negli ultimi tempi, è entrata prepotentemente in campo anche nel settore del diritto della crisi d’impresa, in particolare a seguito della riforma del concordato preventivo e dell’introduzione dell’istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti. La nuova disciplina rappresenta il frutto di ben quattro interventi legislativi di modifica degli artt. da 160 a 186 della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267), i primi tre dei quali succedutisi nell’arco di pochi mesi dal marzo 2005 al gennaio 2006, nell’ultimo periodo della XIV legislatura repubblicana; nella XV legislatura è invece intervenuto il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (c.d. decreto correttivo), che ha completato la riforma delle procedure concorsuali. Il primo di tali interventi è rappresentato dal d.l. 14 marzo 2005, n. 2005, conv. in legge 14 maggio 2005, n. 80. In particolare, l’art. 1, comma 2, lett. d) ss., del citato decreto-legge apporta modifiche agli artt. 160, 161, 163, 177, 180 e 181 legge fall., mentre la lett. l) dello stesso comma inserisce nel r.d. 16marzo 1942, n. 267, l’art. 182-bis, rubricato “Accordi di ristrutturazione dei debiti”. Nel dicembre 2005, a causa dei contrasti giurisprudenziali sorti in merito alla definizione del concetto di “stato di crisi”, si è reso necessario intervenire – attraverso l’art. 36 del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, conv. in legge 23 febbraio 2006, n. 51 – sull’art. 160 legge fall., al quale è stato aggiunto un secondo comma (divenuto, successivamente, il comma 3, a seguito delle ulteriori modifiche intervenuto con il d.lgs. 12 settembre 2007, 169), il quale stabilisce che “ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”. Successivamente, con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in vigore dal 16 luglio 2006, di attuazione delle delega per la riforma organica della legge fallimentare conferita al governo con l’art. 1, commi 5 e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80, sono state apportate alcune marginali modifiche agli artt. 164, 166, 167 e 169 legge fall., ed è stato introdotto l’art. 182-ter legge fall., relativo alla transazione fiscale. Quindi, con il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, in vigore dal 1° gennaio 2008, sono stati modificati gli artt. 160, 161, 162, 163, 166, 168, 173, 175, 177, 178, [continua ..]
La nozione di causa concreta nel concordato preventivo è stata utilizzata in funzione del giudizio di fattibilità che, come è noto, è demandato al Tribunale, e della verifica dell’esistenza (e della persistenza) delle condizioni di ammissibilità alla procedura. La questione dell’ampiezza dei poteri del giudice in merito al giudizio di fattibilità del concordato ha interessato da subito la dottrina e la giurisprudenza, con opinioni diversificate e spesso contrastanti tra loro. Nella legge fallimentare il requisito della fattibilità è menzionato unicamente dall’art. 161, comma 3, legge fall. che prevede il necessario deposito, da parte del debitore, della relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, e dall’art. 179 legge fall., in merito alle c.d. sopravvenienze che possano incidere, appunto, sulla stessa fattibilità. I poteri di verifica giudiziale sono invece evincibili in via indiretta dall’art. 162, comma 2, legge fall. che impone al Tribunale di appurare la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 160, commi 1 e 2, e 161 legge fall. La scarna disciplina contenuta nella legge fallimentare ha favorito una ampia produzione giurisprudenziale in materia, che si è sostanzialmente polarizzata intorno a due opposte opzioni interpretative. Secondo un primo orientamento, il Tribunale, in un’ottica puramente privatistica della tutela degli interessi in gioco, avrebbe poteri di controllo in merito alla sola legittimità formale, con particolare riferimento alla regolarità e completezza della documentazione allegata dalla parte proponente e alla correttezza della procedura sindacato giudiziale. In sostanza, in base a questa impostazione l’organo giurisdizionale dovrebbe realizzare uno scrutinio di carattere meramente “notarile” relativo alla regolarità della procedura, senza alcun potere di vaglio in ordine al contenuto della proposta e del piano concordatario, il cui giudizio di fattibilità era di esclusivo appannaggio creditorio [39]. Secondo un altro orientamento, invece, propugnato da varie pronunce di merito, soprattutto nella prima fase di applicazione della riforma del 2005, il Tribunale avesse comunque mantenuto poteri di valutazione “sostanziale”, potendo sindacare, al momento [continua ..]
La distinzione tra fattibilità giuridica e fattibilità economica rappresenta una costante nella giurisprudenza più recente in tema di controllo del Tribunale in merito alle proposte di concordato preventivo [45], ma in realtà non appare pienamente esaustiva. Innanzitutto, proprio l’utilizzazione della nozione di causa concreta, dovrebbe portare le corti a considerare non solo l’aspetto prettamente giuridico della proposta, ma anche le prospettive economiche che da essa possano derivare. La valutazione degli interessi concretamente coinvolti nella procedura, e la necessità che essa sia idonea a consentire il superamento dello stato di crisi, infatti, depongono senz’altro per un giudizio che porta inevitabilmente a valutare la concreta realizzabilità della proposta, sia dal punto di vista giuridico, sia – se non soprattutto – dal punto di vista economico, nel senso che la proposta deve comunque essere formulata in maniera tale da prevedere un certo risultato economico, in vista del soddisfacimento dei creditori. Invero, la nozione di causa concreta quale “scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato” [46], comporta che il Tribunale debba valutare unitariamente la fattibilità, nel senso che tale valutazione non potrà che attenere all’accertamento della concreta realizzabilità del programma concordatario, in funzione del soddisfacimento degli interessi effettivamente coinvolti nell’operazione. Se si assume, infatti, una nozione di causa in concreto quale ragione pratica dell’affare [47] – ossia obiettivo specifico perseguito dall’accordo concordatario, espressione dell’interesse concretamente perseguito dalle parti nel caso di specie – il sindacato giudiziale si risolve in un giudizio di idoneità, svolto rispetto all’assetto d’interessi ipotizzato dal proponente in rapporto ai fini pratici che il concordato persegue. Pertanto, il Tribunale non si potrà esimere dal ritenere compreso nel proprio vaglio sia la misura della soddisfazione dei creditori (peraltro in seguito al d.l. n. 83/2015, conv. in legge n. 132/2015 predeterminata dal legislatore, nei concordati liquidatori, [continua ..]