Il comma 1-bis dell’art. 53, d.lgs. n. 231/2001 estende l’ampiezza dell’azione cautelare ad “oggetti” ben più estesi di quanto preveda la disciplina della relativa sanzione definitiva. Il riferimento al sequestro della “società” appare eccessivo e inapplicabile e rischia di introdurre una sanzione aggiuntiva in sede cautelare non prevista dall’ordinamento.
Paragraph 1-bis of art. 53, d.lgs. n. 231/2001 extends the scope of the precautionary action to much more extensive “objects” than the discipline of the relative definitive sanction provides. The reference to the sequestration of the “corporation” appears excessive and inapplicable and risks introducing an additional precautionary sanction not envisaged by the law.
Keywords: Sequestration – confiscation – corporation – organisation – protection – freedom – enterprise.
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Premessa - 1. Il paradosso del sequestro dell’“organizzazione” con “continuazione” dell’impresa illecita? - 2. L’incompatibilità del sequestro “per equivalente” della “società” - 3. Necessità di definizione dell’ambito dei poteri dell’Amministratore giudiziario nell’atto di nomina - 4. La rilevanza dell’Amministratore giudiziario nell’organizzazione societaria e iscrizione nel Registro delle Imprese - 5. Esclusione dell’iscrizione nel Registro delle Imprese: tra principio di tassatività e il rischio del paradosso del danno accessorio - 6. La tutela dell’imprenditore e del mercato anche alla luce dello stesso art. 53 - NOTE
L’apparato sanzionatorio di natura patrimoniale previsto dal d.lgs. n. 231/2001 trova nell’art. 19 [1] una forma di ablazione fortemente dibattuta nella dottrina penalistica in ordine alla dimensione “reale” o meno di tale confisca/sanzione così come tradizionalmente ancorata all’archetipo dell’art. 240 c.p. [2]. Tale ultima disposizione si fonda sulla pericolosità intrinseca dei beni che ne possono formare oggetto, mentre la confisca/sanzione recata dall’art. 19, d.lgs. n. 231/2001 si fonda sull’individuazione legale degli oggetti tipici nel profitto e nel prodotto “del reato” che fanno venir meno il rapporto di necessaria pertinenzialità tra il fatto criminoso e cose oggetto di apprensione, tipica, invece, della misura di sicurezza reale della norma recata dall’art. 240 c.p. Appare invece fuor di dubbio che l’obiettivo di fondo della confisca comminata dall’art. 19, d.lgs. n. 231/2001 è privare l’ente responsabile, per un c.d. “illecito 231”, del guadagno economico tratto dalla sua realizzazione, nel suo interesse o a suo vantaggio [3]. L’art. 53, si pone come regola che disciplina in via cautelare gli effetti anticipati delle sanzioni relative agli oggetti di confisca di cui al comma 1 dell’art. 19. Ciò nonostante, il comma 1-bis introdotto dall’art. 12, comma 5-bis, d.l. 31 agosto 2013, n. 101 estende l’ambito oggettivo del sequestro “ai fini della confisca per equivalente prevista dal comma 2 dell’art. 19, a società, aziende, ovvero beni, ivi compresi i titoli, nonché le quote azionarie o liquidità anche se in deposito …”. Orbene, al di là della non esatta sovrapposizione dell’ambito oggettivo della misura cautelare rispetto alla sanzione/confisca, obiettivo della novella appare più quello di stabilire un regime di amministrazione dei beni confiscabili (anche complessi), ponendo al centro l’esigenza della preservazione del valore anche attraverso il diretto utilizzo degli stessi ad opera degli organi della società; invero, la norma si sofferma sul ruolo del custode-amministratore giudiziario che “consente l’utilizzo e la gestione agli organi societari esclusivamente al fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendali, esercitando i poteri di vigilanza e riferendone [continua ..]
Il tema ripropone le serrate critiche che la dottrina giuscommercialistica ha rivolto a tale norma e più in generale a quella “terra di confine” tra le misure cautelari reali penalistiche e l’impresa allorquando le norme e i provvedimenti di sequestro confondono i diversi livelli, mettendo sullo stesso piano l’impresa, l’azienda, il patrimonio sociale, i conti correnti spesso elencati in guisa da essere aggiunti uno all’altro nel medesimo provvedimento ablativo [6]. In particolare, il riferimento alle “società” nell’art. 53, come oggetto di sequestro, non rende in alcun modo chiara la volontà espressa dal legislatore che inserisce tale “oggetto” in modo del tutto distinto tra gli altri beni (più o meno complessi) che incidono sull’attività dell’impresa sociale. Se per un verso l’introduzione di una specifica disciplina riconosce sul piano penale una propria soggettività passiva ad una formazione organizzativa quale è la società resa pseudo-corporale (passando, tuttavia, da una fictio – come si ritiene della personalità giuridica [7] – ad un’altra) [8] dall’altro verso, ritengo che siano stati confusi i piani relativi: a) agli effetti eventualmente prodotti sul patrimonio sociale dai reati compiuti dai vertici sociali e di conseguenza sul valore delle partecipazioni sociali; b) alla funzione svolta dagli amministratori e dagli esponenti che rappresentano la società e sono incaricati della gestione dello stesso patrimonio sulla scorta di un patto organizzativo sancito dalla legge (organizzazione corporativa) ed integrata, se del caso, da regole convenzionali; c) alla circostanza che i beni complessi come l’azienda rappresentano espressione di risultato dell’attività organizzativa dell’impresa, formata da beni e rapporti giuridici individuati sulla scorta della loro funzionalità all’esercizio della stessa impresa[9]. La società, pertanto, rappresenta una formula organizzativa per l’esercizio dell’attività d’impresa (con o senza personalità giuridica) e non se ne comprende l’appartenenza al novero degli oggetti di sequestro recato dall’art. 53, poiché non rappresenta altro che espressione del patto sociale (declinata secondo le [continua ..]
Quanto appena argomentato mal sopporta l’applicazione del paradigma dell’equivalenza “al prezzo o al profitto del reato” di cui all’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 231/2001, se riferita al sequestro della “società” così come indicato nell’art. 53, comma 1-bis. D’altronde che la società come formazione organizzativa per l’esercizio dell’impresa non possa essere in sé un profitto del reato appare già di per sé intuitivo, a meno che non si declini l’oggetto del sequestro sul patrimonio (inteso anche come bene aziendale) e quindi sulle quote di partecipazione.
Malgrado la sua atecnicità, la norma dell’art. 53, che riferisce l’ambito oggettivo del sequestro alle “società”, può trovare spazi applicativi nella misura in cui l’organizzazione societaria nella sua dimensione volitivo/gestionale possa presentare il rischio della perpetrazione del reato ovvero del depauperamento del patrimonio sociale e quindi direttamente o indirettamente del bene sequestrato ai fini della confisca (in particolare dell’azienda, delle partecipazioni sociali ovvero dei beni produttivi immobili o mobili registrati). L’eclettismo, per vero, dei rimedi che l’ordinamento pone rispetto a tali rischi mostra come sia possibile intervenire con vari gradi di profondità all’interno dell’organizzazione corporativa. Di qui la figura complessa del custode-amministratore giudiziario, che appare ora un vero e proprio custode che può associarsi alla figura regolata dall’art. 559 c.p.c., ora investito dell’onere di amministrare secondo le regole di cui agli artt. 35-39 Codice Antimafia in totale sostituzione degli organi amministrativi della società; ora ancora come organo di controllo aggiuntivo – oltre al collegio sindacale e agli eventuali revisori – dell’attività degli amministratori della società (per le finalità dettate dal comma 1-bis dell’art. 53). Tali figure sono tutte richiamate nello stesso art. 53, comma 1-bis, anche grazie al richiamo effettuato dall’art. 104-bis, comma 1-bis, disp. att. c.p.p. Altrettanto appare confermare tale conclusione il riferimento agli effetti del sequestro in danno di società che gestiscono stabilimenti di interesse strategico nazionale posto nello stesso comma 1-bis dell’art. 53, poiché il richiamo all’applicazione del d.l. n. 61/2013 evoca la misura del commissariamento della società e quindi dell’integrale sostituzione degli organi amministrativi. Le varie declinazioni vuoi del ruolo dell’amministratore giudiziario, vuoi del grado di penetrazione dell’attività dello stesso nell’organizzazione corporativa è imprescindibilmente legato all’esatta area dell’azione penale intrapresa. Di conseguenza, il perimetro dell’oggetto della richiesta di sequestro dell’organo inquirente, laddove si tratti di società, dovrebbe definire il periculum (nelle [continua ..]
Quanto sinora argomentato conduce ad alcune conclusioni in ordine alla rilevanza della nomina dell’amministratore ai fini del regime della pubblicità legale nel Registro delle Imprese di tale nomina. La questione non è peregrina, nella misura in cui la risposta deve necessariamente inquadrarsi nelle varie gradazioni che può assumere l’amministrazione giudiziaria del “bene” sequestrato, specie se si tratta di beni produttivi (azienda) ovvero società ex art. 53, comma 1-bis, d.lgs. n. 231/2001. Appare evidente che il regime della pubblicità legale del Registro delle Imprese intende fornire ai terzi tutte le informazioni inerenti la vita dell’impresa, seppure nei limiti degli atti previsti dalla legge (art. 2188, comma 1, c.c.). Tuttavia, occorre puntualizzare che dalla disciplina degli atti recata dal codice civile e le leggi speciali (penso alla legge fallimentare ed anche al Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza) emerge che non tutti gli atti che si riferiscono all’attività dell’imprenditore/società debbano essere iscritti, ma solo quelli costituenti elementi informativi che possano generare un effetto conoscitivo utile ai terzi (compresi gli stessi soci, specie nelle società ad ampia base azionaria) ai fini di scelte conseguenti dei rapporti patrimoniali intrapresi o da intraprendere. Ovviamente tale regime legale si completa con quello degli altri pubblici registri (ufficio del registro, Pubblico registro automobilistico) che accolgono le informazioni derivanti da trascrizioni di fatti giuridicamente rilevanti sui beni immobili o mobili registrati. Non v’è dubbio che il Registro delle Imprese accoglie gli atti rilevanti ai fini della conoscenza giuridica ex art. 2193 c.c. dell’attività dell’impresa nella sua declinazione organizzativa vuoi soggettiva (governance e soci), vuoi del patrimonio di destinazione (bilanci e vicende del patrimonio sociale, ivi compresi i vincoli di destinazione impressi a vario grado anche dall’apertura di una procedura concorsuale nonché i trasferimenti di azienda o rami della stessa).
In tema di registrazione degli atti nel registro delle imprese, mentre da una parte il principio di tipicità o tassatività degli atti ricavabile dagli artt. 2188 c.c., 7, comma 2 e 11, comma 6, lett. c) del d.P.R. n. 581/1995 induce a ritenere non suscettibili di iscrizione gli atti diversi da quelli che legge espressamente stabilisce [16], dall’altra è possibile affermare che il principio di completezza del sistema di ogni pubblicità legale, principio che taluni considerano immanente al sistema e di cui vi sarebbe traccia espressa, per quanto riguarda il registro delle imprese, nell’art. 8, comma 6, legge n. 580/1993, induce a predicare una ampia pubblicità di quegli atti, ivi comprese le domande giudiziali, che potrebbero incidere sulle vicende oggetto di iscrizione, quali i trasferimenti delle quote sociali [17]. La tesi che consente di allargare le maglie della tassatività degli atti iscrivibili, in ogni caso si limita ad affrontare il tema della potenziale mutazione della situazione soggettiva della quota sociale, che può rappresentare elemento di utile conoscenza in ordine agli assetti corporativi (anche potenziali) della società (d’altronde il progetto di fusione è pubblicato nel Registro delle Imprese ex art. 2501-ter c.c. indipendentemente dalla circostanza che la fusione sia positivamente o meno decisa dalle assemblee delle società fondende). Diversa conclusione si sarebbe raggiunta allorquando l’attività a cui sia stato chiamato l’amministratore giudiziario avvenisse in sostituzione degli organi di gestione e controllo, ovvero nel caso di sequestro dell’azienda o di un ramo della stessa, ovvero ancora nell’ipotesi del sequestro di quote societarie [18]. Ma vi è di più.
La conoscibilità offerta nel Registro delle Imprese si dirige non solo a coloro i quali hanno stretto rapporti giuridici con la società, ma altresì all’intero mercato nel quale operano potenziali fornitori (anche di finanza) e potenziali clienti. Pertanto, così come le norme in tema di amministrazione giudiziaria, vuoi secondo le regole del Codice Antimafia, vuoi secondo le regole del d.lgs. n. 231/2001 militano a contemperare interessi tra quello dei terzi (sia intesi come contraenti e creditori) alla migliore conservazione del bene potenzialmente confiscabile a quello per cui lo stesso bene non debba essere destinato ad usi illeciti ed infine a quello dell’imprenditore (rectius soci) per la conservazione della “continuità e dello sviluppo” alla luce delle tutele costituzionali di cui agli artt. 41, 42 e 27 Cost.; allo stesso modo l’iscrizione nel Registro delle Imprese deve contemperare l’esigenza di verità e quello di tutela della stessa impresa. Informazioni che militano a fornire al pubblico elementi di conoscenza evidentemente dannose sul conto dell’imprenditore rappresentano effetti di norme esplicitamente espresse dal Legislatore (si pensi al Bollettino dei Protesti, alla Centrale dei Rischi, CRIF, o ancora a quanto previsto dall’art. 2600, comma 2, c.c., ecc.). Al di fuori di tali ipotesi, nessun’altra informazione può essere pubblicata – specie se di natura così sensibile per il mercato – come la nomina di un amministratore giudiziario ex art. 53, comma 1-bis, d.lgs. n. 231/2001 nella misura in cui tale ruolo non incida sull’organizzazione corporativa della società ed in particolare sui processi decisionali e gestori. Non appare, pertanto, iscrivibile nel registro delle imprese la nomina che militi al solo esercizio dell’attività di vigilanza indicata dallo stesso art. 53. Ciò per la semplice ragione che tale vigilanza appare non intralciare in alcun modo i processi decisionali e gestori dell’organizzazione corporativa della società poiché “il fine di garantire la continuità e lo sviluppo aziendali” è sovrapponibile ai doveri degli amministratori della società alla luce delle previsioni di cui agli artt. 2257, 2380-bis e 2475 c.c. Né pare sostituirsi tale ruolo a quella dell’organo di controllo (se previsto) della [continua ..]