Ormai da anni si assiste al crescente impiego di algoritmi in grado di generare automaticamente il prezzo di beni e servizi offerti dalle imprese, nonché di modificarli in maniera estremamente rapida al variare delle condizioni di mercato, al fine di garantire la massimizzazione dei profitti. Il fenomeno è tipico di determinati mercati, quali quello del trasporto aereo di passeggeri e dell’e-commerce in genere, ma si sta gradualmente espandendo ad altri settori.
Adeguando rapidamente il prezzo alle variazioni delle condizioni della domanda e dell’offerta, gli algoritmi tendono a garantire l’equilibrio di mercato e l’efficiente allocazione delle risorse. Al tempo stesso, però, gli algoritmi di prezzo suscitano non poche preoccupazioni sul piano della tutela della concorrenza.
In primo luogo, gli algoritmi possono agevolare il raggiungimento e il mantenimento di intese anticoncorrenziali sui prezzi; essi assicurano, infatti, il costante monitoraggio del rispetto dell’accordo da parte dei concorrenti e l’immediata reazione ad eventuali violazioni altrui, garantendo così la stabilità del cartello.
In secondo luogo, in assenza di esplicito accordo restrittivo della concorrenza, l’impiego di algoritmi di prezzo può integrare una forma di collusione tacita, caratterizzata dalla stabile e diffusa applicazione di prezzi superiori a quelli concorrenziali. Tale equilibrio è raggiunto, non già perché gli algoritmi siano programmati per colludere, ma perché essi adottano tutti la scelta più razionale nell’ottica di massimizzare i profitti: allineare il prezzo a quello dei concorrenti.
Mentre nel caso della collusione esplicita l’applicabilità delle norme sulle intese restrittive è pacifica, la seconda ipotesi – di gran lunga più diffusa – sembrerebbe sfuggire alla normativa antitrust (che, di regola, non sanziona la collusione tacita), ancorché dia luogo all’indesiderata applicazione di prezzi troppo elevati.
Ci si deve perciò chiedere se e come si debba intervenire per arginare il fenomeno. Conviene in qualche maniera limitare l’impiego e lo spazio di operatività degli algoritmi di prezzo? Il diritto della concorrenza è in grado di fronteggiare autonomamente il problema, oppure le soluzioni devono essere ricercate al di fuori del diritto antitrust?
In the last few years firms have increasingly used pricing algorithms in order to maximize their own profits. Pricing algorithms are able to generate automatically the price of the goods and services offered by the firm and to adjust them very rapidly to react to any variation of market conditions (so called dynamic pricing). The use of pricing algorithms is typical of certain industries, such as e-commerce and airline industry, but its use is increasing in other industries.
Dynamic pricing ensures that the market equilibrium is maintained and guarantees an efficient allocation of resources, as it rapidly adjusts the price when supply and demand conditions vary. However, dynamic pricing also raises concerns from an antitrust perspective.
First of all, pricing algorithms can help firms to create and maintain cartels, by constantly monitoring the compliance with the anticompetitive agreement by the competitors and by immediately reacting to any violation, so ensuring the stability of the cartel.
Secondly, absent an explicit anticompetitive agreement, the use of pricing algorithms might give rise to tacit collusion and undesired supracompetitive pricing. Such an equilibrium is reached not because algorithms are programmed to collude, but because they all make the most rational choice in order to maximize firm’s profits: matching the price applied by rivals.
The enforceability of the rules about anti-competitive agreements is undisputed in case of explicit collusion. On the contrary, antitrust rules apparently are not able to address the issues related to tacit collusion scenario.
Thus the main questions are: is competition law able to address the issues raised by dynamic pricing? Is there a need for new rules? Would it be desirable and efficient to limit the use of pricing algorithms by firms?
Keywords: dynamic pricing – algorithms – protection of competition
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1. Introduzione - 2. Dynamic pricing tra efficienza di mercato e collusione - 3. Algoritmi di prezzo - 4. Collusione esplicita - 4.1. (Segue): intese verticali - 5. Scambio di informazioni - 6. Collusione tacita - 7. Quando gli algoritmi si accordano tra loro - 8. Conclusioni, ovvero quanto dobbiamo preoccuparci del dynamic pricing? - NOTE
Da ormai diversi anni si assiste al crescente impiego di algoritmi in grado di generare automaticamente il prezzo di beni e servizi offerti dalle imprese, nonché di modificarli in maniera estremamente rapida e frequente al variare delle condizioni di mercato, al fine di garantire la massimizzazione dei profitti. Tale fenomeno, noto come dynamic pricing (o tariffazione dinamica), è caratteristico di alcuni mercati, come quello del trasporto aereo di passeggeri, delle prenotazioni alberghiere online e più in generale del commercio elettronico su piattaforme digitali (basti pensare ad Amazon), ma si sta gradualmente espandendo a molti altri settori, compresi quelli del commercio offline [1]. A rigore, l’espressione dynamic pricing dovrebbe comprendere qualsiasi pratica consistente nel «variare in modo altamente flessibile e rapido il prezzo di un prodotto in risposta alle esigenze del mercato» [2], anche a prescindere dal ricorso agli algoritmi [3]; ma inevitabilmente finisce per essere ormai associata agli algoritmi di prezzo, che non hanno eguali in termini di rapidità della risposta al mercato e sono destinati a sostituire i tradizionali meccanismi di scelta delle strategie di prezzo non automatizzati, basati sull’intervento umano (ci si riferisce all’attività svolta all’interno dell’azienda da responsabili di marketing, contabili, analisti, e così via, ovvero all’attività di consulenti esterni). Per rendere un’idea della dimensione del fenomeno basti citare i dati riportati in un’indagine sull’e-commerce svolta dalla Commissione europea nel 2017, quando già allora quasi il 30% del campione delle imprese utilizzava programmi software per monitorare le tariffe praticate online dai concorrenti e modificare i propri prezzi di conseguenza [4]. Lo stesso studio riporta un altro dato interessante: circa il 30% delle variazioni di prezzo avveniva con frequenza giornaliera e circa il 10% dei prezzi variava persino più volte nell’arco della stessa giornata [5]. Un’altra ricerca ha evidenziato che nel 2016 alcuni rivenditori su Amazon cambiavano il prezzo di un prodotto fino a centinaia di volte al giorno [6]. Va sottolineato che in entrambi i casi si tratta di dati pubblicati ormai più di tre anni fa e che i numeri sono in costante crescita, anche se – a quanto pare – [continua ..]
Oltre ad incrementare i profitti delle singole imprese, più in generale il dynamic pricing può migliorare l’efficienza di mercato. Adattando immediatamente il prezzo alle variazioni delle condizioni dell’offerta (disponibilità di magazzino, prezzi praticati dai concorrenti, ecc.) e alle fluttuazioni della domanda [10], gli algoritmi evitano eccessi di domanda e di offerta garantendo un costante equilibrio di mercato e un’efficiente allocazione delle risorse [11]. Sotto questo profilo i consumatori possono beneficiare di una più ampia e continuativa disponibilità dei prodotti. Il vantaggio si percepisce soprattutto in relazione all’offerta di beni rapidamente deperibili (come ad esempio i generi alimentari) o di servizi che, per loro natura, devono essere venduti entro una certa data (si pensi ai biglietti aerei o alle prenotazioni alberghiere) [12]. Bisogna però considerare anche l’altra faccia della medaglia: la progressiva diffusione degli algoritmi di prezzo suscita non poche preoccupazioni sul piano della tutela della concorrenza perché facilita la collusione. In particolare: i) gli algoritmi possono agevolare il raggiungimento e il mantenimento di intese anticoncorrenziali sui prezzi; infatti, assicurando il costante monitoraggio del rispetto dell’accordo da parte dei concorrenti e consentendo di reagire immediatamente ad eventuali violazioni altrui, garantiscono la stabilità del cartello (infra, par. 4); ii) l’eventuale utilizzo di un medesimo algoritmo di prezzo da parte di più concorrenti può risolversi in uno scambio di informazioni strategiche sino ad integrare una pratica concordata vietata (infra, par. 5); iii) anche in totale assenza di contatti tra concorrenti, l’impiego di algoritmi di prezzo potrebbe dar luogo a forme di collusione tacita anche in quei mercati – come quelli meno concentrati – nei quali altrimenti sarebbe a dir poco difficile il raggiungimento di equilibri collusivi senza alcuna forma di concertazione tra imprese (infra, par. 6); iv) in uno scenario futuristico, ma non troppo, algoritmi dotati di un assai elevato livello di intelligenza artificiale potrebbero essere in grado di colludere “intenzionalmente” tra loro senza che siano stati programmati o istruiti in tal senso dall’uomo (infra, par. 7). In tutti questi casi i consumatori [continua ..]
Ma che cosa sono e come funzionano esattamente gli algoritmi di prezzo? Non esiste una definizione universalmente riconosciuta di “algoritmo”. L’algoritmo potrebbe essere (approssimativamente) descritto come una sequenza finita e ben precisa di operazioni eseguite da un elaboratore in un determinato ordine per ottenere un certo risultato; le operazioni sono eseguite sulla base di una serie di istruzioni ed informazioni preventivamente assunte [14]. In altri termini, l’algoritmo è un processo logico-computazionale in grado di risolvere un problema, generando un output sulla base di un determinato input. In particolare, l’algoritmo di prezzo è concepito per elaborare una serie di input al fine di generare un output di prezzo. Solitamente è l’algoritmo stesso che – sulla base delle istruzioni impartite dal programmatore – si procura autonomamente i dati rilevanti, tra cui si possono annoverare [15]: il livello della domanda e dell’offerta del prodotto o servizio; i prezzi dei concorrenti e i loro livelli di magazzino; i prezzi praticati dall’impresa in passato e i relativi profitti; i costi sostenuti dall’impresa; informazioni relative ai singoli consumatori o utenti, con particolare attenzione allo storico degli acquisti e delle ricerche online dei prodotti o servizi; ulteriori informazioni di varia natura a seconda del prodotto o servizio offerto (ad esempio, le condizioni e le previsioni meteorologiche) [16]. La quantità e la natura delle informazioni elaborate varia da algoritmo ad algoritmo. Alcuni algoritmi, meno complessi, si limitano ad elaborare pochi input sulla base di istruzioni relativamente semplici, per lo più consistenti nell’allinearsi al concorrente che applichi il livello di prezzo più basso nel mercato [17]. Altri algoritmi, più sofisticati, sono capaci di apprendere dalle esperienze passate (machine learning) [18] e di procurarsi e di elaborare una mole sconfinata di dati (Big Data) in tempo reale [19]. La possibilità di disporre di un enorme archivio di informazioni passate e presenti da esaminare, coniugata con la capacità di apprendere, consente a questi algoritmi di sperimentare e di affinare progressivamente nuove strategie di prezzo [20]. Tali algoritmi sono altresì in grado di formulare previsioni sull’andamento del mercato [21], di [continua ..]
Come accennato, gli algoritmi di prezzo possono essere impiegati dalle imprese come strumento volto (i) a rendere più stabili e durevoli accordi collusivi preesistenti, ovvero (ii) a facilitare la conclusione ed il mantenimento di nuovi cartelli di prezzo. Gli algoritmi rendono, infatti, più agevole ed efficace il reciproco monitoraggio del rispetto dell’accordo e consentono di reagire immediatamente ad eventuali violazioni dello stesso. In tal modo, le singole imprese che partecipano al cartello perdono ogni incentivo a violarlo, poiché non trarrebbero dalla violazione alcun vantaggio neppure nel brevissimo periodo, dato che i concorrenti sarebbero in grado di individuare immediatamente qualsiasi deviazione dal prezzo concordato. Inoltre l’uso degli algoritmi consente di ovviare ad una delle difficoltà tipiche che incontrano le imprese che colludono in mercati molto dinamici: la necessità di modificare frequentemente il prezzo di cartello in relazione alla variazione delle condizioni di mercato. Il dynamic pricing consente di adeguare automaticamente il prezzo alle nuove condizioni di mercato senza che le imprese debbano ogni volta comunicare tra loro per rideterminare il prezzo [29]. Nell’ipotesi qui considerata appare pacifica l’applicabilità delle norme – europee e nazionali – sulle intese restrittive della concorrenza e segnatamente l’art. 101 TFUE l’art. 2 della legge n. 287/1990. Occorre però precisare che gli algoritmi non integrano di per sé la fattispecie illecita: l’intesa è vietata – naturalmente ove ricorrano i presupposti – a prescindere dall’utilizzo dell’algoritmo, che è semplicemente lo strumento che agevola ed incentiva il perseguimento della finalità collusiva. Ciò è particolarmente evidente laddove gli algoritmi servano a rafforzare un accordo preesistente, dunque già concluso in violazione delle norme antitrust (l’illecito era stato perpetrato ancor prima dell’impiego dell’algoritmo). Ma anche laddove gli algoritmi agevolino la conclusione di una nuova intesa – e persino quando costituiscano elemento decisivo per il raggiungimento dell’intesa (si pensi a situazioni in cui senza il supporto dell’algoritmo sarebbe assai difficile colludere) – l’illecito è rappresentato sempre e comunque [continua ..]
Discorso analogo vale per le intese verticali. Anche in questa ipotesi, come in quella degli accordi orizzontali, gli algoritmi rappresentano solo uno strumento per rendere più efficace una pratica anticoncorrenziale già di per sé illecita. In particolare, la capacità dell’algoritmo di individuare prontamente eventuali variazioni di prezzo da parte dei distributori facilita l’imposizione di prezzi fissi o minimi di rivendita (resale price maintenance), disincentivando lo scostamento dal prezzo imposto [34]. Inoltre, se nel mercato a valle è diffuso l’utilizzo degli algoritmi di prezzo, anche i distributori estranei ad accordi di resale price maintenance potrebbero finire per allineare i propri prezzi a quelli del concorrente che partecipi all’intesa verticale [35]. In altri termini, il rischio concorrenziale è amplificato, non solo dagli algoritmi utilizzati dai fornitori per controllare i distributori, ma anche da quelli usati dai distributori stessi. Troveranno dunque applicazione le norme in materia di intese, dato che – come noto – l’imposizione di prezzi fissi o minimi di rivendita crea la presunzione che l’accordo verticale limiti la concorrenza, sia nel mercato dei fornitori che in quello dei distributori [36]. Gli algoritmi di prezzo possono giocare un ruolo rilevante anche in caso di imposizione di un prezzo massimo di vendita o raccomandazione di un prezzo di vendita. Secondo il diritto europeo e nazionale, i prezzi massimi o raccomandati di vendita – pure pericolosi per la concorrenza [37] – possono beneficiare di un’esenzione ai sensi dell’art. 101, par. 3, TFUE soltanto a condizione che i prezzi «non equivalgano ad un prezzo fisso o ad un prezzo minimo di vendita per effetto di pressioni esercitate o incentivi offerti da una delle parti» [38]. Ebbene, il costante monitoraggio dei prezzi da parte degli algoritmi potrebbe creare in capo ai distributori un forte incentivo a non scostarsi dal prezzo raccomandato, che di fatto diventerebbe così un prezzo fisso [39], con conseguente applicazione del divieto d’intese [40].
Un possibile diverso scenario da considerare è quello in cui non vi siano accordi espliciti tra concorrenti, ma l’utilizzo di algoritmi di prezzo dia luogo a situazioni di “hub and spoke” [41]. Nel lessico antitrust gli “hub and spoke” sono cartelli che non si basano sul contatto diretto tra concorrenti orizzontali, bensì sullo scambio di informazioni realizzato indirettamente per il tramite di un soggetto terzo [42]. Si ha in genere quando imprese poste a valle della catena distributiva (spokes) trasmettono informazioni rilevanti ad un unico fornitore comune (hub). In alcuni casi questo schema può produrre gli stessi effetti negativi di una vera e propria intesa orizzontale senza che i concorrenti si scambino mai direttamente alcuna informazione [43]. Gli studi in materia [44] evidenziano che, riferito agli algoritmi di prezzo, un caso simile si può verificare quando: a) più concorrenti si avvalgano dello stesso software di pricing fornito da una medesima impresa; b) più concorrenti affidino ad una stessa impresa fornitrice di servizi di pricing la determinazione, tramite algoritmo, dei prezzi dei rispettivi prodotti. Alla prima ipotesi è associato il rischio che i prezzi dei concorrenti, verosimilmente determinati dallo stesso algoritmo seguendo un identico percorso logico e di calcolo, potrebbero finire per allinearsi. Invero, qui non ci troviamo dinanzi ad un vero e proprio caso di “hub and spoke” perché i concorrenti non trasmettono informazioni strategiche e riservate ad un terzo, ma si limitano a sottoporle ad uno stesso tipo di algoritmo. Non vi è quindi – neppure indirettamente – il rischio di uno scambio di informazioni, dato che l’algoritmo non trasferisce agli altri concorrenti gli input ricevuti da ciascuna impresa. Nondimeno, taluni riconducono questa situazione ad una sorta di “hub and spoke” di fatto, in cui un unico “cervello” riceve informazioni da più parti [45]. In realtà in questo quadro è fondamentale distinguere l’ipotesi in cui un singolo “cervello” comune gestisca contemporaneamente i dati di più operatori (fattispecie che ricade nel secondo caso, prospettato sub b), da quella ora considerata in cui tanti “cervelli” dello stesso tipo elaborino separatamente i dati di ciascun operatore, senza [continua ..]
Anche laddove i concorrenti utilizzino algoritmi di prezzo diversi e, più in generale, non si coordinino e non stabiliscano – neanche indirettamente – alcun tipo di contatto tra loro, il ricorso diffuso al dynamic pricing sul mercato potrebbe comunque condurre ad un tacito allineamento anticoncorrenziale dei prezzi. Tale equilibrio potrebbe essere raggiunto, non già perché gli algoritmi siano programmati per colludere, ma perché adottano tutti autonomamente la scelta più razionale nell’ottica della massimizzazione dei profitti: allineare il prezzo a quello dei concorrenti. Infatti, l’applicazione di un prezzo inferiore innesterebbe la pressoché istantanea riduzione dei prezzi ad opera degli algoritmi dei concorrenti, rendendo così impossibile beneficiare di qualsiasi vantaggio economico associato alla fissazione del prezzo più basso. Pertanto, qualsiasi strategia di riduzione del prezzo da parte di un concorrente non farebbe altro che determinare (irrazionalmente) un calo dei profitti per l’intero settore. Per quanto possa condurre all’applicazione di prezzi sovra-competitivi, la fattispecie sembrerebbe sottrarsi alla censura delle norme antitrust, che di regola non sanzionano la collusione tacita [55], se non nell’ipotesi in cui si dovesse configurare un abuso di posizione dominante collettiva (art. 102 TFUE e art. 3 legge n. 287/1990) [56]. In effetti, in questo caso ogni impresa, per mezzo del proprio algoritmo, non fa altro che adottare unilateralmente le proprie decisioni e reagire in maniera economicamente intelligente alle mosse dei concorrenti. Non vi è alcun tipo di accordo e cooperazione tra imprese, che non intendono colludere, e la mera consapevolezza di tenere condotte parallele grazie all’uso dell’algoritmo non può essere considerata di per sé sufficiente ad integrare un illecito concorrenziale [57]. L’inapplicabilità della disciplina antitrust appare vieppiù preoccupante ove si consideri che – secondo gli studi in materia [58] – gli algoritmi di prezzo potrebbero contribuire a sviluppare equilibri di collusione tacita anche in quei mercati che, per le loro caratteristiche (scarsa concentrazione, scarsa trasparenza, ecc.), non sono mai stati interessati dal fenomeno, tradizionalmente confinato ai mercati oligopolistici [59]. Ciò potrebbe accadere [continua ..]
Spostando ulteriormente la prospettiva, si può immaginare che una pluralità di algoritmi di prezzo particolarmente evoluti e dotati di spiccata intelligenza artificiale, nell’interagire in un certo mercato, si accordino e decidano “scientemente” di colludere, pur senza aver ricevuto istruzioni in tal senso né dai programmatori, né dalle imprese che li utilizzano [65]. Si tratta di ipotesi tutt’altro che peregrina, considerato il livello di intelligenza ed autonomia degli algoritmi basati sul deep learning. Anche in questo caso le imprese allineerebbero i comportamenti senza che alla base vi sia un accordo esplicito né alcuna forma di coordinamento orchestrati da esseri umani. Tuttavia, il raggiungimento di un equilibrio di prezzo sovra-competitivo non sarebbe riconducibile alla scelta unilaterale degli algoritmi di tenere il comportamento più razionale nell’ottica della massimizzazione dei profitti dell’impresa, ma sarebbe dovuto alla loro decisione, intenzionale e concertata, di colludere. In altri termini, né più né meno di quanto possa avvenire tra individui, anche gli algoritmi, comunicando tra loro, potrebbero decidere di porre in essere un accordo anticoncorrenziale. Naturalmente le forme di comunicazione sarebbero dissimili da quelle tipicamente utilizzate dagli esseri umani, ma nella sostanza ricorrerebbero – seppure sotto diverse spoglie – gli elementi essenziali del dialogo e del consenso tra due o più “parti”. La fattispecie è certamente anomala: in sostanza si tratta di un’intesa restrittiva della concorrenza, ma su un piano giuridico-formale non lo è poiché, essendo gli algoritmi privi di soggettività giuridica, non vi è nessuno cui attribuire la responsabilità dell’accordo “esplicito” (si fa per dire). Tra le imprese, infatti, non vi è alcun contatto e le stesse imprese potrebbero essere persino ignare del fatto che l’allineamento dei loro prezzi sia ascrivibile alla decisione dei rispettivi algoritmi di accordarsi [66]. Pertanto, vista attraverso la tradizionale lente delle vigenti norme antitrust, anche questa fattispecie potrebbe essere qualificata come collusione tacita, in ragione del carattere prettamente unilaterale della condotta tenuta dai concorrenti. Di conseguenza, l’autonoma capacità degli [continua ..]
L’aspetto del dynamic pricing che più preoccupa gli studiosi e le autorità antitrust concerne il rischio che il diffondersi degli algoritmi di prezzo possa determinare nuove forme di collusione non sanzionabili secondo il vigente diritto della concorrenza, in quanto non riconducibili ad alcuna condotta illecita delle imprese. In estrema sintesi, la questione principale riguarda il fatto che l’utilizzo degli algoritmi crei una sorta di interdipendenza tra i concorrenti senza che questi ultimi facciano materialmente ricorso ad alcuna forma di interazione. Così facendo, gli algoritmi potrebbero allargare ai mercati più concorrenziali i confini del problema della collusione tacita, tradizionalmente limitato all’oligopolio. Invero, come sopra evidenziato [72], questo rischio sembra essere – almeno ad oggi – piuttosto remoto. Il problema della collusione tacita associata all’uso degli algoritmi di prezzo va dunque collocato ed affrontato nella sua giusta dimensione. In mezzo a numerose voci allarmistiche, vi è anche chi ha affermato che con ogni probabilità gli algoritmi di prezzo si limiteranno a facilitare la collusione tacita principalmente nei mercati oligopolistici, già di per sé tradizionalmente esposti al fenomeno (questo rappresenterebbe, quindi, il reale problema posto dal dynamic pricing), mentre non avranno un impatto significativo nei mercati più concorrenziali nei quali la collusione tacita continuerà ad essere difficilmente sostenibile [73]. Non va sopravvalutato neanche il problema dell’imputabilità all’impresa dell’illecito raggiungimento di intese restrittive della concorrenza da parte di algoritmi di prezzo che, agendo autonomamente, finiscano per accordarsi tra loro (supra, par. 7). Come sottolineato, la questione – che non è tanto dissimile da quella dell’imputabilità all’impresa di una violazione da parte di un proprio dipendente – potrebbe essere risolta facendo leva su principi già elaborati dalla giurisprudenza in materia di concorrenza, che andrebbero solo riadattati al caso di specie senza che si rendano necessarie troppe forzature. L’introduzione di regole ad hoc sembra pertanto superflua e l’intervento legislativo potrebbe rivelarsi persino nocivo laddove si optasse per l’introduzione di divieti assoluti ex ante, [continua ..]