Il Codice della crisi ha riformulato l’art. 2257 c.c. relativo alla disciplina degli amministratori di società di persone, imponendo la creazione di assetti adeguati come compito esclusivo degli amministratori. L’articolo si occupa in particolare dei profili concernenti la competenza.
The Code of the crisis has modified article 2257 of the civil code (about partnership managers), by establishing the creation of adequate organisational arrangements as managers’exclusive task. In particular, the article deals with some aspects related to this attribution.
Keywords: Company – partnership – adequate organisational arrangements.
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1. L’art. 2257 c.c. - 2. La ripartizione di competenze gestorie tra amministratori e soci - 3. La valutazione degli assetti - 4. Assetti adeguati e modelli di amministrazione - 5. Le sanzioni - 6. Monitoraggio e intervento - 7. Gli assetti adeguati e i gruppi di società di persone - NOTE
L’art. 2257 c.c., nel suo comma 1, disponeva che, salva diversa pattuizione, l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri. Il Codice della crisi ha inserito prima di tale regola un ulteriore segmento del comma 1, che recita: la gestione dell’impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all’art. 2086, comma 2, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Come si può constatare, il legislatore non si limitava a richiamare espressamente il contenuto del comma 2 dell’art. 2086 c.c. e quindi gli obblighi risultanti da esso, ma, modificando profondamente gli assetti di governance delle società di persone, stabiliva che l’intera gestione della società fosse di competenza degli amministratori, escludendo pertanto l’ammissibilità di una differente attribuzione a favore dei soci. Il decreto correttivo al Codice della crisi ha riscritto la norma stabilendo che l’istituzione degli assetti di cui all’art. 2086, comma 2, spetta esclusivamente agli amministratori. Pertanto, l’attribuzione di una competenza esclusiva a favore degli amministratori è ricondotta non più all’intera gestione, ma a quel settore che concerne la predisposizione degli assetti adeguati [1]. È appena il caso di sottolineare che l’ampiezza della formula utilizzata nel comma 2 dell’art. 2086 c.c. (imprenditore in forma societaria) è idonea a ricomprendere tutti i tipi di società di persone, abbiano oggetto agricolo o commerciale, siano o meno iscritte nel registro delle imprese, siano state costituite in modo espresso o tacito, siano formate da persone fisiche o da persone fisiche e giuridiche o da tutte persone giuridiche.
Tenuto conto dell’elasticità della disciplina delle società di persone, si ritiene che la ripartizione di competenze tra soci e organo amministrativo sia derogabile. È possibile perciò che l’atto costitutivo attribuisca ai soci le decisioni relative ad un settore della gestione o a determinate operazioni, o anche conferisca ad essi la facoltà di autorizzare (o di vietare) determinati atti. In tal caso, a mio avviso, i soci “gestori” non sono equiparabili agli amministratori, nel senso che compete comunque a questi ultimi sia l’attività preparatoria delle scelte gestorie, sia la loro esecuzione. Si tratta sostanzialmente di estendere alle società di persone lo schema applicabile alla s.r.l. Anche in questo caso, i soci “gestori” sono responsabili, solidalmente con gli amministratori, per gli atti di mala gestio da essi compiuti, così come previsto per la s.r.l. dall’art. 2476 c.c.? Occorre al proposito distinguere due fattispecie. Nel caso di atti autorizzati, verrà in considerazione il modello offerto dalla disciplina della società per azioni (ove non è prevista una responsabilità per i soci per atti gestori autorizzati dall’assemblea) oppure quello delineato per la società a responsabilità limitata (ove i soci sono responsabili per gli atti gestori autorizzati intenzionalmente)? Anche se una soluzione certa non è agevole da individuare, parrebbe preferibile l’applicazione del modello proprio della società per azioni, tenendo conto che il legislatore prevede espressamente la possibilità che l’atto costitutivo della società in accomandita semplice introduca la necessità dell’autorizzazione di determinati atti gestori da parte degli accomandanti senza che ciò comporti una loro responsabilità per essi (anche se si tratta di responsabilità per le obbligazioni sociali). Ove, per contro, il contratto sociale attribuisse ai soci la decisione in ordine a determinate scelte gestionali, l’unico modello utilizzabile o estensibile per analogia è quello fornito dalla società a responsabilità limitata (infatti tale fattispecie non è configurabile nella società per azioni). Pertanto, si potrebbe ritenere che i soci siano responsabili per gli atti decisi, sia pure con il limite della [continua ..]
Più delicato il discorso con riferimento alla loro valutazione. La norma contenuta nell’art. 2381 c.c., relativa alle società per azioni, stabilisce che gli assetti sono predisposti dai delegati e valutati dal consiglio. Con riferimento alla s.r.l. si è ritenuto, ancor prima dell’estensione della norma sugli assetti a tale tipo e della previsione della competenza esclusiva degli amministratori, che l’organo gestorio della s.r.l. avesse comunque il compito di predisporli e che tale compito facesse parte dell’elenco delle competenze inderogabilmente ad esso attribuite. Tuttavia, si è sostenuto che potesse essere conferita ai soci gestori o a singoli soci gestori la valutazione degli assetti [9]. Tale conclusione mi pare che possa essere estesa anche alle società di persone. In ogni caso, il controllo dei soci non amministratori, consistente nel diritto di avere notizie dai gestori e di consultare i documenti della società, si estende anche agli assetti organizzativi. Nell’ambito delle s.p.a. l’istituzione e la modificazione degli assetti sono oggetto della valutazione da parte del consiglio di amministrazione e della vigilanza da parte del collegio sindacale; inoltre, la mancata predisposizione o l’inadeguatezza degli assetti costituisce un grave inadempimento che può essere oggetto della denuncia da parte dei soci ex art. 2409 c.c. Con riferimento alle s.r.l., dato il richiamo all’art. 2381 c.c., in presenza di un consiglio di amministrazione, quest’ultimo avrà il compito di valutare gli assetti; così pure, venendo in considerazione la disciplina della s.p.a., spetterà al collegio sindacale o al sindaco unico vigilare sulla creazione degli stessi; essendo oggi applicabile alla s.r.l., date le innovazioni introdotte dal Codice della crisi, la disciplina della denuncia al Tribunale di gravi irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c., anche i soci di s.r.l. potranno avvalersi di tale strumento in caso di violazione dell’obbligo di istituire gli assetti. Spettando ai soci di s.r.l. ampi poteri di controllo, potranno utilizzare il diritto di informazione e di consultazione per verificare la presenza e l’adeguatezza degli assetti. È stata sottolineata in dottrina la netta differenziazione tra società di persone e società di capitali: solo nella prima è presente un controllo [continua ..]
Ferma restando la competenza esclusiva degli amministratori, occorre ancora esaminare se tutti i sistemi di amministrazione utilizzabili dalle società di persone siano compatibili con tale regola. Il legislatore, come è noto, individua come sistema di amministrazione di default quello disgiuntivo, con competenze attribuite a tutti i soci; in alternativa è previsto il modello congiuntivo, all’unanimità o a maggioranza. È poi pacifico che i soci possono adottare i modelli di governance propri della s.p.a. e quindi prevedere l’assemblea dei soci e l’organo gestorio, unipersonale o pluripersonale: in questo secondo caso è pure ammissibile la delega di attribuzione dal consiglio ad uno o più amministratori, così come disposto per la s.p.a. ed ora espressamente anche per la s.r.l. Non sussistono incompatibilità tra la nuova disciplina che impone l’obbligo di creare assetti adeguati e il sistema di amministrazione congiunto anche a maggioranza [12] o l’introduzione di un organo gestorio: in tal caso, gli assetti possono essere predisposti dagli organi delegati, così come espressamente previsto dall’art. 2381 c.c. per la s.p.a., norma estesa alla s.r.l. Più complesso il discorso con riferimento al sistema disgiunto: non mi sembra ammissibile che ciascun amministratore possa, indipendentemente dagli altri, predisporre gli assetti che regolano la vita della società e che debbono essere necessariamente unitari. Non ritengo quindi che il sistema disgiuntivo possa venire in considerazione in relazione a tale competenza [13]. Come si è più volte richiamato nelle pagine precedenti, ai sensi del comma 1 dell’art. 2257 c.c., l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri. Ciò comporta che ciascun amministratore può compiere gli atti di gestione indipendentemente dal consenso degli altri amministratori e senza neppure la necessità della preventiva informazione degli stessi in ordine all’atto che sta per compiere [14]. Nell’ambito dei commenti dedicati al modello di amministrazione disgiunta applicato alla s.r.l. si è però rilevato come il dovere di diligenza imposta agli amministratori comporti in ogni caso l’obbligo degli stessi di comunicare agli altri le operazioni più rilevanti che si [continua ..]
Nel caso in cui gli amministratori di società di persone non adempiano al dovere di creare assetti adeguati viene in considerazione, in primo luogo, la facoltà dei soci di revocarli per giusta causa; in secondo luogo, di far valere l’eventuale responsabilità per danni, qualora da tale comportamento sia derivato un pregiudizio per il patrimonio sociale. Nell’ipotesi in cui gli assetti siano stati predisposti, ma non siano adeguati si pone il delicato interrogativo, di portata generale e non solo riferibile alle società di persone, in ordine all’ambito del sindacato da parte del giudice. Come è noto, la dottrina è divisa: secondo un’opinione l’adeguatezza può essere oggetto di valutazione da parte del giudice, tenuto conto ovviamente della discrezionalità tecnica insita nella creazione degli assetti; secondo altro orientamento verrebbe in considerazione anche con riferimento a tale obbligo il principio della business judgment rule e quindi la responsabilità sussisterebbe solo in caso di manifesta irrazionalità, conflitto di interessi o carente informazione [19]. In ogni caso, con riferimento ai singoli atti gestori, ferma la regola della business judgment rule e quindi della non rilevanza dell’errore di gestione, l’eventuale responsabilità dipende dalla violazione dei doveri di porre in essere un’adeguata attività preparatoria ed istruttoria, mentre gli assetti che disciplinano tale attività risultano irrilevanti. In altre parole, occorre tener conto dell’attività svolta con riferimento al singolo atto gestorio e valutare la sua adeguatezza caso per caso, indipendentemente dalla presenza o dall’assenza di procedure (assetti) adeguati predisposti per disciplinarla. Un profilo peculiare alle società di persone ovviamente è la responsabilità di tutti o di alcuni soci per le obbligazioni sociali e quindi l’assunzione da parte dei soci del rischio di impresa. Nel costruire gli assetti deve essere valutata anche tale circostanza e cioè la possibile incidenza degli atti gestori direttamente sul patrimonio dei o di singoli soci? E potrebbe configurarsi una responsabilità degli amministratori nei confronti dei soci in tale prospettiva?
Il dovere di creare gli assetti adeguati è volto in particolare a consentire di monitorare la situazione economica-finanziaria per conoscere tempestivamente un’eventuale crisi. L’ultimo obbligo previsto dal comma 2 dell’art. 2086 c.c. fa riferimento al tempestivo intervento in presenza di una situazione di crisi e di perdita della continuità aziendale. Come è noto, sotto il profilo del contenuto, il dovere in questione è stato inteso a volte in senso stretto e letterale come riferito esclusivamente ad uno degli strumenti previsti dal legislatore nel Codice della crisi, ora in senso più ampio, comprensivo di ogni operazione che possa essere idonea allo scopo di superare la crisi. Accogliendo quest’ultima lettura e con specifico riferimento alle società di persone, un primo interrogativo concerne la posizione dei soci e in particolare l’obbligo di ripianare le perdite. Dovere di intervento e obbligo per i soci illimitatamente responsabili di ripianare le perdite mi pare inducano a ritenere che gli amministratori, in primo luogo, in presenza di una situazione di crisi, debbano richiedere l’intervento dei soci. E ciò anche nel loro interesse, tenuto conto del rischio per loro del fallimento in estensione. Nel caso di società di persone non soggette alla procedura di fallimento (e di concordato) l’obbligo di intervento mi pare debba essere riferito agli strumenti di composizione assistita della crisi (ed ora alla composizione negoziata) ed a quelli relativi al superamento della crisi da sovraindebitamento. Anche se l’utilizzazione di tali strumenti non è imposta dal legislatore, ma lasciata alla scelta del debitore, mi sembra che il dovere di intervento renda in qualche modo eventualmente obbligatorio il ricorso ad essi. Sotto il profilo soggettivo il dovere di intervento fa capo certamente agli amministratori. Può coinvolgere anche i soci? Infatti, occorre tener conto che la domanda di concordato preventivo deve essere approvata dai soci e ciò sia alla luce della legge fallimentare, sia del Codice della crisi.
Le norme contenute nel capo nono nell’ambito della disciplina delle società con scopo di lucro, volte a regolare l’esercizio del potere di direzione e coordinamento, hanno portata generale e trovano pertanto applicazione con riferimento ad ogni tipo di società. Occorre perciò ricostruirne il contenuto tenendo conto che tali disposizioni “si sovrappongono” a quelle proprie dei vari tipi societari e debbono quindi essere coordinate con essi. Certamente appare configurabile l’esistenza di un gruppo con la presenza di società di persone sia in posizione di capogruppo, sia in quella di partecipanti. Al proposito occorre distinguere gli scenari ipotizzabili prima della riforma societaria da quelli realizzabili oggi. Nella prima prospettiva poteva venire in considerazione un gruppo orizzontale e quindi una pluralità di società di persone soggette a direzione unitaria per la partecipazione ad esse degli stessi soci e l’identità delle persone e degli amministratori; oppure ancora un gruppo formato da sole società di persone; o infine un gruppo rispetto al quale una società di persone assumesse il ruolo di holding. Oggi, come è noto, in virtù dell’art. 2361 c.c., è ammissibile la partecipazione di società di capitali a società di persone e quindi la formazione di un gruppo all’interno del quale una società di capitali rivesta il ruolo di holding e partecipate siano anche o solo società di persone. Come è stato recentemente sottolineato in dottrina, “se elementi costitutivi di una struttura di gruppo sono normalmente società di capitali, nella realtà imprenditoriale (non solo) italiana si possono riscontrare anche gruppi composti (in genere non esclusivamente, ma in parte) da società in nome collettivo o in accomandita semplice. È inoltre da rilevare che società di persone sono presenti non solo in gruppi familiari di ridotta grandezza, ma anche in gruppi multinazionali di notevole dimensione” [20]. La previsione contenuta nell’art. 2361 c.c. consente poi “la nascita di una nuova forma di esercizio dell’impresa caratterizzata dalla partecipazione di una società di capitali in una società di persone (e in specie in una s.a.s.) e particolarmente adatta a fungere da schema organizzativo per una società [continua ..]